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Perchè nasce questo blog?

Il blog nasce con lo scopo di far conoscere  e di valorizzare quanto più possibile le "infinite" eccellenze enogastronomiche Itali...

martedì 3 luglio 2018

15 cose da sapere sul Nebbiolo...

Piccole curiosità










1) Il nebbiolo è un vitigno a bacca scura autoctono del Piemonte.
2) È coltivato principalmente nelle zone delle Langhe, del Roero, del Monferrato e del Canavese. In percentuale più bassa, si trova anche nell’Astigiano.
3) Viene citato per la prima volta nel XIII secolo dall’agronomo medievale Pier Crescenzio.
4) Fuori dal Piemonte, è diffuso in Valle d’Aosta, Lombardia (Valtellina e Franciacorta) e in Sardegna.
5) E’ un vitigno con cui si producono vini di altissima qualità: vinificato in purezza, origina alcuni tra i più pregiati vini del mondo, come i piemontesi Barolo e Barbaresco.
6) I vini a base nebbiolo si distinguono per un alto grado di tannini e acidità quando sono giovani, mentre quando invecchiati si distinguono per sorprendenti bouquet con toni floreali e di goudron.
7) Prende probabilmente il nome dalla nebbia, frequente in Piemonte durante la vendemmia.
8) Un’altra teoria lega il nome all’aspetto dell’acino, scuro ma ‘annebbiato’ dalla pruina.
9) Il nebbiolo matura tardi, anche dopo la fine di ottobre.
10) Proprio per la maturazione tardiva, è coltivato sui pendii meglio esposti, da sud a sud-ovest.
11) Nonostante la sua qualità, quella coltivata a nebbiolo non rappresenta che il 3% della superficie vitata del Piemonte.
12) Dà i migliori risultati sulle marne calcaree.
13) Alcuni produttori hanno sperimentato la vinificazione del nebbiolo passito.
14) Nella zona del Carema è noto come picutener.
15) Hanno provato a coltivarlo sia in Nord che in Sud America, ma con risultati piuttosto mediocri.

lunedì 25 giugno 2018

IL TANNINO






COSA SONO, DOVE SI TROVANO E COME SI PERCEPISCONO...


Il tannino è una sostanza chimica presente negli estratti vegetali, appartenente alla famiglia dei polifenoli, comune nelle piante e negli alberi.
Nell’uva troviamo i tannini nella buccia (nelle uve a buccia scura), nei vinaccioli (i semi all’ interno dell’acino) e nel raspo (il gambo che tiene il grappolo).
È grazie ai tannini che il vino, specie il rosso, si conserva meglio, e, sempre grazie all’azione dei tannini, avremo le variegate sfumature che tanto apprezziamo nei vini rossi.
Al momento della vendemmia è importante che i raspi vengano tolti prima della pigiatura delle uve e che la stessa (la pigiatura) avvenga in maniera soffice, quasi delicata: in tale maniera si eviterà che vengano rilasciati dai raspi tannini troppo verdi o troppo forti dai vinaccioli, il che potrebbe influenzare negativamente il risultato finale.
In cantina, il tempo di macerazione e sosta del vino sulle proprie bucce avrà una tempistica decisa dall’enologo, in base al tipo di colore, corpo, struttura e astringenza che sarà poi caratteristica di quel vino, ma anche per dare allo stesso vino una maggior capacità di conservazione e durata nel tempo.
Sarà infine l’invecchiamento in botte a conferire l’apporto definitivo e finale dei tannini. È infatti il microcircolo di ossigeno che si verifica con il legno a trasferire al vino aromi e complessità olfattive. “Nella botte piccola c’è il vino migliore”: non a caso è nato il famoso detto popolare, infatti tanto più la botte sarà piccola (barriques o caratello) tanto più alto sarà il rapporto tra legno e vino.
Abbiamo visto che i tannini sono presenti negli alberi, ecco quindi l’importanza del legno delle botti. Una botte di rovere rilascerà nel tempo più tannini di altri legni usati per fare le botti, che siano quercia, castagno, ciliegio, acero. Nelle botti nuove i tannini saranno freschi e più evidenti, nelle botti più utilizzate verranno ceduti tannini morbidi e rotondi (ne sono esempi pratici i vini Amarone).
Ma qual è la caratteristica maggiormente evidente del tannino?
È l’astringenza.
Quella sensazione di secchezza in bocca, di mancanza di salivazione o, per fare il solito esempio figurato, il risultato del mordere un caco non maturo. Questa sensazione “allappante” è una qualità del vino e non un difetto, è ciò che fa sì che un vino rosso possa essere facilmente abbinato a piatti liquidi come una zuppa, o succosi e grassi come la carne alla griglia.
Un ottimo abbinamento è un Chianti Classico con una bella bistecca fiorentina dove i tannini morbidi e asciutti del vino sapranno preparare il palato al sapore deciso della carne.
E nei bianchi? In franchezza non si può proprio parlare di tannini nei vini bianchi, anche se in una minima percentuale della produzione totale si hanno degli esempi ben riusciti di vini con lunga macerazione sulle bucce, o di brevi passaggi in botte che risultano poi bianchi di corpo e struttura fuori dal comune, con sensazioni di spezie e vaniglia come alcuni Chardonnay australiani.

martedì 19 giugno 2018

lunedì 18 giugno 2018

IL CICLO DELLA VITE












Parlando con un amico, ieri sera, lo stesso ha iniziato a farmi delle domande su come si sviluppa l'uva prima di diventare vino e le sue fasi, allora, dopo avendolo accontentato, ho deciso di pubblicare un piccolo riassunto inerente il ciclo della vite ed il suo percorso.


CICLO DELLA VITE

 

Il germogliamento e, quindi, lo schiudersi delle gemme, avviene in tardo inverno o inizio primavera (compatibilmente con la pazzia delle stagioni, si hanno a volte germogliamenti precoci che vengono poi disturbati da ricadute di temperature nei mesi successivi). L’uscita del germoglio avviene grazie alla temperatura esterna, che per la vite è di minimo 10°C, ed è determinata dalla vigoria delle viti, dalle forme di allevamento delle vigne e dalla densità di impianto e potatura.

Da questo momento il picco vegetativo si sviluppa velocemente fino a metà giugno: non è difficile rendersi conto di questo spettacolo naturale se ci si ferma a guardare la meraviglia dei terreni coltivati o delle colline ricamate di filari che via via che il tempo migliora si fanno più verdi e rigogliose.

Poco prima del germogliamento si effettua la potatura, in questo momento si verifica il fenomeno detto “pianto della vite”, cioè l’emissione di liquido dai tagli della potatura che avviene perché il metabolismo della pianta comincia a riattivarsi: è un fenomeno facilmente visibile se si visita un vigneto e molto commovente perché ci si rende conto che la pianta è viva.

 

 La fioritura avviene tra fine aprile e giugno (complice anche qui l’andamento delle stagioni e le variabili climatiche) e si tratta, come dice il termine, della comparsa e sviluppo dei fiori della vite, dai quali verranno a formarsi gli acini.

Diverse sono le condizioni che permettono una buona fioritura, tra le quali ovviamente una buona insolazione, l’attività fotosintetica, il riparo da agenti patogeni (peronospora o insetti) e le buone pratiche colturali.

Una curiosità: la vite può essere impollinata per via anemofila, cioè grazie al trasporto del polline da parte del vento o delle api: è così che, si dice, siano nati alcuni vitigni come il Carmenere. Inoltre, la vite può essere sottoposta a fecondazione incrociata, di cui un esempio felice è l’Incrocio Manzoni (nato da Riesling Renano e Pinot bianco).

 

 L’allegagione è la trasformazione dei fiori fecondati in bacche o acini e avviene di solito verso luglio. Purtroppo anche in natura non tutti i fiori fecondati daranno vita ad una bacca, e si potranno avere differenti fenomeni derivanti da una sorta di autoregolazione della pianta per non disperdere proprietà nutritive o in caso di avversità climatiche. Avremo quindi la “colatura”, se fiori e bacche cadranno naturalmente, la “filatura”, se si trasformano in viticci o l’”acinellatura” in caso di arresto di crescita di acini già formati.

 

L’invaiatura è la fase di colorazione della bacca. I frutti che avranno superato le varie prove che madre natura ha posto loro davanti cominciano a colorarsi di rosso o giallo, a seconda della famiglia di appartenenza. Cominciano a crescere, e i grappoli a prendere forma. In questo momento le uve hanno la buccia dura, sono cariche di acidi e pochissimi zuccheri.

 

Agostamento

 

E' la fase di maturazione dei germogli che da verdi diventano marroni (in Italia mediamente tra luglio e agosto), cioè lignificano diventando tralci. Una corretta lignificazione dei tralci è un fattore determinante per la resistenza al freddo invernale e per la ripresa vegetativa in primavera.

 

 

La fase finale, la maturazione, dura 40-50 giorni durante i quali si modificano le percentuali di zuccheri maturati (dal 2% al 20%) e di acidi presenti (da 30g/l a 6-7g/l), le bucce diventano via via più tenere, le uve raggiungono la maturazione fisiologica e sono pronte per essere vendemmiate a seconda dell’uso che se ne farà. Una base spumante verrà raccolta poco prima della completa maturazione a causa dell’acidità più elevata, ottimale appunto per creare spumanti. Per un rosso da invecchiamento, invece, la raccolta sarà ritardata così da permettere un maggior carico di tannino e zuccheri.È in questo periodo di trasformazione che sulle bucce verrà a formarsi la “pruina”, una sostanza cerosa bianca che protegge gli acini dagli agenti atmosferici e che ha la capacità di trattenere alcuni microorganismi portati dal vento: i lieviti.

martedì 12 giugno 2018

IL SOAVE...








Che bella bevuta!

Poco apprezzato e soprattutto poco bevuto nelle altre regioni...una piacevole  riscoperta e una gran bella bevuta!
 
Il Soave rappresenta da solo con i suoi 500.000 ettolitri il 40% della produzione a DOC della provincia di Verona, dove sono concentrati il 14% delle DOC italiane ed il 60 % delle DOC venete. I vini prodotti nella DOC Soave sono: Soave DOC, Soave Classico DOC, Soave Superiore DOCG, Recioto di Soave DOCG.
Il termine “Soave” sembra derivare dagli Svevi (Suaves), che calarono in Italia con il re longobardo Alboino, mentre il territorio era già, in epoca romana, un pagus, ovvero un distretto campagnolo circoscritto e forse centuriato.
Ma è possibile fare risalire la presenza della vite almeno a 40 milioni di anni fa. Le testimonianze fossili che si trovano nel museo di Bolca, in cima alla Valle dell'Alpone, indicano la famiglia delle Ampelidee come la generatrice delle viti selvatiche europee. In Era Terziaria la Valle dell'Alpone, odierno sito dei vigneti, era completamente ricoperta d'acqua tranne un atollo dall'afoso clima tropicale. Qui sarebbe nata la vite, anche se è più probabile che le varietà fondamentali siano giunte dall'Oriente, come è accaduto alla gran parte dei vigneti europei. Per gli studiosi più affidabili, la nascita di ceppi storici come la Garganega è da attribuire alla contaminazione tra le uve Retiche, originate dalle Ampelidee, e i vitigni giunti dal bacino del Mediterraneo.
Dal punto di vista organolettico ha un colore delicato, un naso nitido ed uno sviluppo gustativo rapido ed appagante che non induce ad assuefazione neppure dopo lunghi periodi di consumo.
  • colore: giallo paglierino tendente a volte al verdognolo.
  • odore: vinoso con caratteristico profumo intenso e delicato.
  • sapore: asciutto, di medio corpo e armonico, leggermente amarognolo.
Garganega e Trebbiano di Soave, così come noi oggi li conosciamo, sono il frutto di una lunga interazione naturale tra vitigno ed ambiente a cui l'uomo ha dato in questi ultimi anni un particolare contributo.
La Garganega non possiede una aromaticità spiccata, ma un piccolo patrimonio di profumi di cui la mandorla e i fiori bianchi sono i più nitidi; ha uno sviluppo biologico molto lungo, tanto da giungere a maturazione in ottobre; ha una buccia dura e particolarmente gialla (quasi rossa) quando è matura. Non ha un'acidità preponderante ma piuttosto un interessante equilibrio di estratti e zuccheri.
Il Trebbiano di Soave storicamente molto presente nei vigneti ha lasciato sempre più posto all'esuberanza della Garganega. Solo in questi ultimi anni sta riproponendosi come ideale partner per tracciare nuovi profili enologici per il Soave del futuro combinando la sua sapidità e vivacità con la struttura e la densità tipiche della Garganega.
La zona di produzione del Soave è situata nella parte orientale dell'arco collinare della provincia di Verona (a nord dell'Autostrada Serenissima, tra il 18º e il 25º km tra Verona e Venezia). Essa comprende in tutto o in una parte i territori dei comuni di Soave, Monteforte d'Alpone, San Martino Buon Albergo, Lavagno, Mezzane di Sotto, Caldiero, Colognola ai Colli, Illasi, Cazzano di Tramigna, Roncà, Montecchia di Crosara, San Giovanni Ilarione e San Bonifacio.
Foto aerea dei vigneti di Monte Colombaretta.
Con il riconoscimento della DOCG al Recioto di Soave e successivamente con le nuove delimitazioni per il Soave superiore DOCG, l'area di produzione è stata sostanzialmente divisa in tre sottozone quasi equivalenti per dimensione e per consistenza viticola.
La Zona più antica, detta anche zona storica, delimitata per la prima volta nel 1931 e coincidente con il Soave Classico, si trova sui rilievi collinari dei comuni di Monteforte d'Alpone e Soave ed è interessata da una superficie vitata di 1.700 ettari. La seconda zona, praticamente tutta collinare, va da San Martino Buon Albergo a Roncà interessando i rilievi della Val di Mezzane, Val d'Illasi, Val Tramigna e Val d'Alpone e costituisce la sottozona Colli Scaligeri, che comprende 2.400 ettari. La terza zona del Soave DOC è situata nelle aree più o meno pianeggianti delle vallate già citate per una superficie di circa 2.400 ettari.
L'orografia si presenta assai diversificata con zone pianeggianti (pianura di Soave e di Monteforte) ed altre collinari dalle altitudini e dai versanti molto variabili; altrettanto dicasi per l'origine e lo stato attuale dei suoli nei quali si riconoscono terreni calcarei, basaltici, detriti di falda e terreni depositati dalle alluvioni dei corsi d'acqua. L'origine del suolo è prevalentemente vulcanica, e questo lo differenzia dalle altre aree storiche del Bardolino e della Valpolicella. Il clima è mite e temperato con precipitazioni comprese tra i 700 e i 900 mm all'anno concentrate prevalentemente in primavera e in autunno.

sabato 19 maggio 2018

ANNATA 2004

Cenni sull'annata 2004...Sole ed ottima escursione termica



Dopo 2 annate molto difficili, finalmente il 2004! Un’ottima annata con un clima favorevole che ha contraddistinto tutte le stagioni. Un inverno fresco e piovoso, una primavera soleggiata con piccoli temporali hanno favorito un lento risveglio delle piante con un fioritura in linea. L’estate è stata particolarmente mite con un Agosto che ci ha regalato temperature moderate, favorendo la maturazione delle componenti polifenoliche degli acini. I vini ottenuti sono freschi, ricchi, profondi e complessi con ottima struttura e un grande bouquet.







martedì 1 maggio 2018

Evento del 4 maggio

Venerdì 4 maggio, presso PIZZERIA MARSICA, sita in  Via Dei Martiri Di Capistrello 11,  a Luco Dei Marsi  Telefono: 0863 528497 si terrà l'evento AIS, che vede a confronto una delle più note bollicine di montagna con una blasonatissima bollicina di pianura...NON MANCATE!!
L'evento ha il costo di 45€ comprensivo di cena, per info e prenotazioni non esitate a contattarmi.

347.4413065
 
 

mercoledì 25 aprile 2018

BIO È MORTO



 

Nuovo regolamento sull'agricoltura biologica, leggetelo e traete voi le vostre conclusioni...buona lettura!

Con 466 voti a favore , 124 contro e 50 astensioni è stato approvato oggi il nuovo Regolamento europeo sull'agricoltura biologica.
Un settore che è composto per il 90% da imprese agricole e che finora era stato sotto il loro controllo viene loro sottratto e dato in mano ai pochi trasformatori e venditori.
E' il risultato del depotenziamento del sistema dei controlli
 
Il sistema dei controllo
 
Il sistema di controllo europeo è stato depotenziato. Non è stata accettata la prima proposta della Commissione di avere un limite unico europeo di decertificazione. Cosa è? I prodotti bio non devono avere residui di fitofarmaci o altre sostanze non ammesse. In Italia il limite è 0,0001% ovvero quello dei baby food. Negli altri Paesi non c’è mai stato (o meglio è scelto dagli enti di certificazione) e quindi stanno girando prodotti bio europei contaminati da anni anche in Italia provenienti dagli altri SM. Inoltre, poiché non esiste questo limite, i paesi extra europei che vogliono importare in UE prodotto contaminato scelgono gli SM che hanno limiti alti (ripeto sono gli enti di certificazione che lo stabiliscono in quei paesi). Così oltre al prodotto UE contaminato entra prodotto extra UE contaminato.
 
Il nuovo regolamento approvato oggi, come detto, non prevede il limite unico europeo di decertificazione, lasciando ancora così questa possibilità .
Inoltre permette che sia venduto come biologico prodotto contaminato, se è dimostrabile che la contaminazione è avvenuta per cause accidentali (ciò era impossibile con il vecchio regolamento)
 
A chi giova?
 
Data la grande richiesta di prodotti biologici e la debolezza del sistema che non può garantire più un prodotto bio privo di pesticidi e altre sostanze, la grande distribuzione e la grande trasformazione predisporranno dei loro “disciplinari di produzione” più restrittivi imponendoli agli agricoltori (lo stanno già facendo anche con l’appoggio di IFOAM che ha già pronto il suo sistema Organic 3.0
 
 
Così le regole del Bio Vero le faranno loro..
 
Così le imprese agricole dovranno pagare due volte: la prima la certificazione bio per il regolamento la seconda quella dei disciplinari imposta dalla GDO e trasformazione.
 
E in tutto questo l'Italia?
 
Un doppio danno per l'Italia: la produzione fuori suolo
 
Il nuovo regolamento permette per la prima volta la possibilità di coltivare prodotti biologici senza usare la terra. Per ora solo per i paesi scandinavi e la Danimarca, ma in futuro prevede anche per altri dopo un analisi di 5 anni. In pratica tutte le produzioni mediterranee saranno soppiantate da quelle in serra del nord europa.
L'opposizione ferma e dura di Confagricoltura non è servita a nulla purtroppo. Altri interessi (i soliti) hanno prevalso.
 
A chi serve questa Europa?
 
Autore: Luigi Tozzi
 
 

lunedì 23 aprile 2018


Uno spettacolo della natura, da provare assolutamente!!



Montébore è un paesino della Val Curone, sullo spartiacque tra le valli del Grue e del Borbera. Un angolo del Tortonese (nel territorio piemontese che confina a sud con la Liguria e a est con la Lombardia) poco umanizzato e integro. La fama del luogo è legata a una formaggetta di latte vaccino e ovino dalla storia antichissima.







La curiosa forma a torta nuziale si ispira forse alla antica torre diroccata del castello di Montébore ed è data dalla sovrapposizione di robiole dal diametro decrescente. La crosta inizialmente è liscia e umida e poi, con la stagionatura, diventa più asciutta e rugosa. Il colore va dal bianco al giallo paglierino. La pasta è liscia o leggermente occhiata, di colore bianco in varie sfumature. Si fa con latte crudo: per il 75% vaccino (un tempo era quello delle vacche tortonesi, oggi quasi estinte) e per il restante 25% ovino. La cagliata, rotta con un cucchiaio di legno, è posta nelle formelle, rivoltata e salata. Estratte dallo stampo, tre forme dal diametro decrescente sono poste a stagionare, una sopra l’altra, da una settimana a due mesi. L’assaggio di Montébore, opportunamente stagionato, denuncia il sapore del latte ovino, anche se la percentuale di latte di pecora non supera mai il 40%. Al naso, infatti, si percepiscono odori leggermente animali e un poco speziati. In bocca, all’inizio della degustazione, è tendenzialmente latteo e burroso, mentre nel finale si sente la castagna accompagnata da sfumature erbacee. Il Montébore può essere gustato fresco, semistagionato (quindici giorni) o da grattugia.

La produzione del formaggio Montebore avviene tutto l’anno.

giovedì 5 aprile 2018

Alcol svolto e alcol potenziale...pillole









Alcune pillole sulla differenza sostanziale tra alcool svolto e alcool potenziale spesso presente nei quiz per aspiranti sommelier.


E’ opportuno distinguere tra Alcol svolto, che è il tenore alcolico effettivo che si ha al termine della fermentazione, Alcol potenziale che è il rimanente di gradazione che sarebbe svolto se la % residua di zuccheri fermentasse a sua volta, e l’ Alcol totale che è la somma delle prime due voci.
Per esempio se di un vino leggete che la gradazione è pari a 6,5° + 6°,ciò significa che l’alcol svolto è di 6,5°, l’alcol potenziale ,che si produrrebbe se gli zuccheri residui fermentassero completamente è 6°, mentre l’alcol totale 12,5°.

giovedì 29 marzo 2018

L’annata 2003...poca longevità




Dò, come promesso, seguito, alla pubblicazione di piccole informazioni su le annate più o meno favoreli, che hanno condizionato la nostra nazione a livello Vinicolo, degli ultimi 20 anni...buona lettura e grazie per le numerose visualizzazioni che state facendo su questo blog.





2003

Questa annata sarà ricordata per il suo incredibile andamento metereologico, con condizioni estreme da aprile ad ottobre per quanto riguarda le altissime temperature raggiunte e per quanto concerne una quasi inesistente escursione termica e per precipitazioni quasi nulle. Una situazione che ha impedito lo sviluppo di malattie ma che ha allo stesso tempo ha creato uno stress idrico eccezionale, bloccando in molti casi il normale sviluppo fenologico della pianta. Il tutto ha compromesso l'equilibrio dei bianche e delle bollicine ma ha portato a rossi carichi di alcol ma immaturi, pronti subito e poco longevi.  

sabato 24 marzo 2018

Il pecorino di Farindola...

 
 
 
Oggi voglio dare il giusto spazio ad un pecorino particolarissimo...unico al mondo per il suo genere, il PECORINO DI FARINDOLA.
 
Unico Pecorino al mondo ottenuto con caglio SUINO...da non perdere!!  

Abbinatelo ad un buon Montepulciano D'Abruzzo Riserva e vedrete che emozione!
 
 
Il Pecorino di Farindola si ottiene dal latte ovino crudo, cioè non trattato termicamente derivato solo da pecore allevate tutto l’anno nel territorio individuato come area di produzione. Il latte viene cagliato con caglio di suino, fatto anch’esso dai produttori, che si aggiunge al latte a circa 31°- 32°.
L’uso del caglio di maiale adulto per coagulare il latte costituisce un carattere unico nel panorama mondiale dei formaggi, e contribuisce non poco alla  originalità  del nostro formaggio. E’ fatto mettendo in infusione alcune parti dello stomaco del suino adulto con sale, vino bianco, aceto e qualche spezia. Una volta ottenuta la cagliata, questa viene rotta in pezzi piccoli dalle mani esperte delle donne, che attuano una serie di movimenti quasi rituali che portano alla creazione delle forme di pecorino nelle fiscelle. Si esegue una salatura a secco sulla faccia superiore, e dopo le forme vengono poste ad asciugare sui graticci di legno. Inizia quindi il lungo e paziente lavoro di stagionatura. Le forme vengono girate e pulite dalle muffe nei primi giorni, quindi si procede a spalmarle periodicamente con l’olio di oliva locale dopo circa tre mesi si stagionatura sugli scaffali di legno, le forme vengono riposte in armadi o casse di legno, anche sovrapposte una sull’altra, e periodicamente sempre rigirate ed unte. Questa grande cura e necessaria per poter ottenere tutti quei sapori di aromi che si sviluppano grazie ai fermenti vivi derivanti dal latte. La stagionatura prosegue di solito fino a circa un anno, ma le forme più grandi sono ben conservate anche 18-24 mesi.
 
La zona tipica di produzione è situata nella Regione Abruzzo, versante orientale della catena del Gran Sasso d’Italia, e comprende il territorio di 9 Comuni tra le Province di Pescara e Teramo.
 
I Comuni il cui territorio è totalmente all’interno dell’area tipica sono:

- Farindola (PE)
- Montebello di Bertona (PE)
- Villa Celiera (PE)
- Carpineto della Nora (PE)
- Arsita (TE)
 
I comuni il cui territorio è parzialmente compreso nell’area tipica sono:

- Bisenti (TE), con le contrade Chioviano Alto e Basso e San Pietro
- Castelli (TE), con le contrade San Rocco, Palombara, Carraro e Befaro.
- Penne (PE), con le contrade Collalto, Trofigno, Roccafinadamo, La Cima e Colletrotta.
- Civitella Casanova (PE), con le contrade Vestea, Santanello, Pretaglione e Chiarella.
 

martedì 20 marzo 2018

Alla scoperta del GAGLIOPPO



Continuiamo con il nostro viaggio alla scoperta e forse alla riscoperta delle eccellenze italiane enogastronomiche, un po' dimenticate, poco apprezzate e forse poco o addirittura...sconosciute.

Oggi parliamo di un vitigno, a bacca rossa, autoctono Calabrese, il Gaglioppo.

Buona lettura...

Storia  e territorio

La Calabria ha una tradizione millenaria nel campo della viticoltura e ancora oggi il paesaggio di molte zone costiere è disegnato da vigne, che si perdono nell’orizzonte azzurro del mare. I primi navigatori greci, mossi dallo spirito d’avventura e dalla ricerca di nuove opportunità di commercio, sbarcarono in queste terre attorno all’VIII secolo a.C. Le popolazioni autoctone avevano già iniziato il processo di domesticazione della vite selvatica e gli scambi con i colonizzatori ellenici, fecero della Magna Grecia una regione famosa per la viticoltura. Il termine Enotria-terra del vino- con cui i Greci identificavano buona parte dell’Italia meridionale, conferma l’antica vocazione vitivinicola di un territorio proteso verso il mare e naturale crocevia d’incontri e contaminazioni tra popoli e civiltà provenienti da tutto il Mediterraneo. Non sappiamo con certezza con quali vitigni fossero prodotti i vini dell’antichità come l'amineo, il thurino, il byblinos, il lagaritano, il reghinon, forse con antenati dei vitigni del nostro Sud o forse con cultivar oggi scomparse.
Va comunque dato merito ai viticoltori calabresi d’aver saputo conservare uno straordinario patrimonio di varietà autoctone, ancora oggi alla base dei vini più famosi della Regione. I vitigni internazionali sono arrivati tardi e hanno interessato, solo in modo marginale, una produzione che affonda le radici nell’antica storia del territorio. Il gaglioppo è presente soprattutto nella zona collinare di Cirò, situata a nord di Crotone, lungo il litorale ionico. Grazie a un clima mediterraneo, caldo e ventilato, e a terreni di matrice argillo-calcarea, particolarmente vocati per una viticoltura di qualità, il gaglioppo ha trovato in quest’area il suo habitat ideale.

Caratteristiche

Il gaglioppo è un vitigno di buon vigore e produttività, con un ciclo vegetativo piuttosto lungo e una maturazione medio-tardiva. Produce grappoli dalla forma conica, con una notevole varietà morfologica tra i vari biotipi. Gli acini sono piccoli, con buccia abbastanza spessa e pruinosa, di colore nero-violaceo. Da molti anni è stato intrapreso un percorso di ricerca per selezionare i migliori cloni di gaglioppo, con l’obiettivo finale di elevare la qualità dei vini. L’Azienda Librandi, in particolare, ha sempre creduto nelle potenzialità del vitigno e ha portato avanti un progetto di valorizzazione del gaglioppo. La ricerca è partita da una selezione massale di vecchi alberelli della zona di Cirò, scelti in base alla presenza di grappoli e acini piccoli, tendenzialmente spargoli, adatti a produrre con basse rese. Il materiale è stato poi reimpiantato in vigneti sperimentali, con l’intento di isolare i cloni migliori. A questo progetto iniziale, si è affiancata la realizzazione di un campo sperimentale di piante da seme, con lo scopo di osservare la variabilità genetica della cultivar e selezionare i migliori biotipi.
Infine, Nicodemo Librandi e Davide De Santis hanno girato tutta la Calabria alla ricerca di vecchi cloni autoctoni di gaglioppo e di altri vitigni calabresi. Nel 2003 è stato creato un giardino varietale con oltre 2.800 viti del materiale collezionato. Il gaglioppo e gli antichi vitigni autoctoni sono stati studiati attraverso analisi del DNA, delle uve e micro-vinificazioni, coordinate dal laboratorio Enosis di Donato Lanati. L’Azienda Librandi sta portando avanti anche una sperimentazione sui portainnesti, per trovare la migliore soluzione in relazione alla composizione dei terreni e alle caratteristiche della cultivar. La strada verso un progressivo miglioramento qualitativo del materiale in vigna è stata tracciata e in futuro darà i suoi frutti. Per quanto riguarda le forme di allevamento, ancora oggi si preferisce l’alberello di tradizione greca, che copre circa il 70% della superficie vitata a gaglioppo. Gestito con potature corte e alta densità d’impianto, l’alberello garantisce uve di alta qualità e si adatta perfettamente al clima del territorio cirotano.

mercoledì 14 marzo 2018

Le annate in degustazione...2002 pioggia abbondante!

 

Ieri ho avuto modo di rileggere un articolo, pubblicato sulla rivista “Civiltà del bere” scritto da Roger Sesto, inerente  tutte le annate in degustazione dal 2002 ad oggi, e subito mi è venuto in mente di condividerlo in questo blog, un po’ alla volta, sperando di suscitarvi curiosità.

Spero lo riteniate interessante ed utile...buona lettura

 
 
2002



L’inverno 2002 è stato particolarmente avaro di piogge, mentre le temperature minime sono state constantemente prossime a -10, le fredde temperature si sono protratte anche in primavera. A partire da fine maggio una serie di forti precipitazioni hanno causato un accumulo di acqua nel terreno che ha accelerato la crescita della vite. Tali piogge si sono protratte anche nei mesi di luglio ed agosto, unitamente a temperature insolitamente basse e hanno causato un rapido accrescimento degli acini. Le migliori condizioni di settembre e ottobre hanno parzialmente favorito la maturazione dei vitigni tardivi. La quantità di uva prodotta è stata tra le più esigue di sempre. 
 
 

Manuel Silvestri






sabato 10 marzo 2018

La malolattica

Termine, per amanti del vino ed operatori del settore, molto utilizzato e a volte poco chiaro...sarebbe più opportuno parlare di conversione e non di trasformazione, vediamo perché...
 



Fermentazione Malolattica

 

Un processo sottovalutato e poco compreso in passato, la fermentazione malolattica è un fenomeno essenziale per la stabilità biologica dei vini rossi

  Uno dei principali problemi che si affrontano dopo il termine della fermentazione alcolica è rappresentato dalla stabilità biologica del vino. Al termine della fermentazione alcolica - o fermentazione primaria - il vino è piuttosto fragile e senza le opportune misure preventive, le probabilità che si sviluppino degenerazioni di varia natura sono molto alte. Le possibilità di maturazione e di conservazione di un vino dipendono non solo da certi componenti naturalmente presenti - come alcol, zucchero, acidi e polifenoli - ma anche dalla stabilità biologica, ottenuta mediante l'eliminazione di batteri e sostanze nocive, evitando l'esposizione del vino a condizioni avverse. Uno dei processi che certamente migliora la stabilità biologica del vino è rappresentato dalla fermentazione malolattica, detta anche fermentazione secondaria. Nonostante questo processo sia utile alla stabilità del vino, è bene ricordare che nei vini bianchi la fermentazione malolattica è generalmente evitata.

 Botti e barrique sono i contenitori dove generalmente si svolge la fermentazione malolattica

 La conoscenza e lo studio della fermentazione malolattica è una conquista piuttosto recente, avvenuta nel corso del 1900. Fin dal 1600 i produttori di vino avevano notato una certa diminuzione di acidità nei vini “pronti”, pur tuttavia non riuscendone a comprendere le cause. Un passo significativo fu fatto nel 1800, quando questa diminuzione di acidità fu attribuita alla scomparsa dell'acido malico dal vino, e si dovrà attendere il 1900 per comprendere finalmente che questa diminuzione era causata da specifici batteri che avevano il potere di degradare l'acido malico in acido lattico e anidride carbonica. Poiché durante questo fenomeno si sviluppa anche anidride carbonica, fu definito come fermentazione malolattica, equiparandolo cioè a un processo fermentativo e i batteri responsabili del fenomeno furono definiti lattici. Studi successivi hanno dimostrato che la fermentazione malolattica non è un processo fermentativo: si tratta di un fenomeno di origine enzimatica nel quale si verifica la degradazione dell'acido malico in acido lattico e questa reazione svolge effetti positivi solo in alcuni vini.

 


 Al termine della fermentazione alcolica - oppure poco prima del suo naturale termine - il vino può apparire torbido, si libera anidride carbonica, si osserva un cambiamento di colore e l'acidità totale si abbassa generalmente di 0,5-1,5 grammi per litro, fino a circa 4 grammi per litro. Questi cambiamenti sono il risultato della fermentazione malolattica, un processo che può verificarsi subito dopo la fermentazione alcolica - quando si verificano le opportune condizioni - oppure in primavera, quando la temperatura comincia a rialzarsi. La temperatura è infatti uno dei fattori che determinano l'avvio di questo processo. Per motivi legati alla stabilità, generalmente si tende a favorire l'avviamento della fermentazione malolattica subito dopo quella alcolica, così da avere sia un vino pronto in minore tempo sia un vino più stabile dal punto di vista biologico. Prima di comprendere come favorire il processo della fermentazione malolattica, cerchiamo di capire di cosa si tratta e quali sono i suoi effetti sul vino.

Come già detto, definire questo processo come fermentazione malolattica è improprio, poiché non si tratta effettivamente di una fermentazione, piuttosto di una degradazione dell'acido malico in acido lattico e anidride carbonica per opera dei batteri lattici. Questi batteri appartengono a diverse specie, fra queste le specie Leuconostoc e Lactobacillus. L'azione svolta dai batteri lattici, così come l'attivazione della loro funzionalità, dipende da diversi fattori, in modo particolare dal pH del vino e dalla temperatura. Quando si verificano le giuste condizioni, la fermentazione malolattica determina una disacidificazione biologica del vino, con una diminuzione dell'acidità totale e l'aumento del pH, generalmente di 0,1-0,2. Dal punto di vista organolettico, il vino risulterà al gusto più morbido - a causa della presenza dell'acido lattico, meno aggressivo di quello malico - e anche gli aromi saranno più complessi e “maturi”. Per questi motivi, la fermentazione malolattica si ritiene indispensabile per la qualità dei vini rossi, nei quali è sempre favorita.

 Per i vini bianchi, la fermentazione malolattica sarà favorita in funzione del tipo e delle qualità organolettiche che si vogliono conservare o sviluppare. Nei vini bianchi secchi e nei rosati, nei quali si conservano generalmente la freschezza dell'acidità e gli aromi “giovani” di frutta e fiori, è opportuno evitare la fermentazione malolattica. In questi tipi di vini, la fermentazione malolattica può essere svolta - anche parzialmente - nel caso l'acidità sia eccessiva, tuttavia si perderà anche parte della freschezza aromatica. La fermentazione malolattica è talvolta svolta in alcuni vini bianchi secchi destinati alla maturazione in barrique, rendendo in questo modo il vino più “morbido” con aromi più “maturi” e complessi. La fermentazione malolattica va in ogni caso evitata nei vini che hanno una certa quantità di zuccheri residui poiché l'attività dei batteri lattici potrebbe provocare nel vino la comparsa dello spunto lattico - detto anche fermentazione mannitica - causato dai batteri lattici che, attaccando gli zuccheri, li trasformano in acido acetico e lattico, con un conseguente gusto di “agrodolce” nel vino.

 

Le Condizioni Favorevoli

 Molti sono i fattori che condizionano l'avvio della fermentazione malolattica, fra questi la temperatura, motivo principale che ne impedisce lo svolgimento subito dopo la fermentazione alcolica. Infatti, al termine della fermentazione alcolica, soprattutto nelle zone più fredde, l'abbassamento stagionale della temperatura - seguita poi dall'inverno - impedisce l'avviamento della fermentazione malolattica che, qualora si verifichino le giuste condizioni, inizierà in primavera, quando cioè la temperatura si rialzerà. La temperatura influisce sulla velocità di moltiplicazione dei batteri lattici e sulla velocità della reazione. La temperatura ottimale per l'avviamento della fermentazione malolattica è compresa fra i 18 e i 20° C. È opportuno che la temperatura sia mantenuta costante entro questo intervallo e che non superi comunque i 22° C, poiché in questo modo si favorisce lo sviluppo di acidità volatile. Oltre i 30° C, la fermentazione malolattica si interrompe, mentre a temperature inferiori a 15° C il suo svolgimento risulterà molto lento oppure bloccarsi completamente.

L'anidride solforosa, ampiamente utilizzata in enologia, svolge un ruolo importante nell'attivazione della fermentazione malolattica e del suo svolgimento. I batteri lattici sono più sensibili all'anidride solforosa rispetto ai lieviti, pertanto, quando presente in dosi eccessive, la fermentazione malolattica può anche non verificarsi, anche in presenza delle giuste condizioni determinate dagli altri fattori. Si ritiene che una quantità di anidride solforosa libera superiore a 10mg per litro impedisca la fermentazione malolattica, mentre valori inferiori a 5mg per litro non influiscono sul suo svolgimento. La maggioranza dei batteri lattici sono anaerobici, pertanto il loro sviluppo e la loro attività è favorita in condizioni di assenza di ossigeno e in presenza di anidride carbonica. Per questo motivo, al momento della svinatura, sarà opportuno effettuare travaso senza il contatto con l'aria e il recipiente sarà mantenuto ben colmo così da evitare anche lo sviluppo di batteri acetici e quindi del difetto di acescenza.

 

 L'acidità del vino è un altro fattore che influisce sull'attivazione e lo svolgimento della fermentazione malolattica. Nel caso in cui il vino abbia un valore di pH inferiore a 3,2 - quindi un vino molto acido - l'attivazione della fermentazione malolattica sarà molto difficoltosa e con molta probabilità non si verificherà affatto. Con valori di pH superiori a 4,5 la fermentazione malolattica avrà uno svolgimento molto lento. Il valore ottimale di pH è di 4, tuttavia valori di circa 3,4 sono già favorevoli. Nel caso in cui il vino fosse troppo acido - impedendo quindi la fermentazione malolattica - sarà opportuno diminuirla, tuttavia è bene ricordare che questa correzione dovrà essere effettuata dopo la fermentazione alcolica. La disacidificazione del vino dovrà essere effettuata con l'addizione di specifici prodotti chimici - in particolare il bicarbonato di potassio - generalmente reperibili nei negozi specializzati in enologia.

Nonostante questo possa sembrare superfluo, l'attivazione e lo svolgimento della fermentazione malolattica richiede la presenza di una sufficiente popolazione di batteri lattici nel vino. I batteri lattici sono naturalmente presenti nella pruina - lo strato di sostanza cerosa protettiva che ricopre la buccia dell'acino d'uva - pertanto durante l'ammostamento e la pigiatura dell'uva saranno sono trasferiti nel mosto. Alcuni processi di vinificazione, in particolare le operazioni che riguardano l'aggiunta di anidride solforosa, potrebbero ostacolare l'attività dei batteri lattici, rendendo quindi la fermentazione malolattica difficoltosa. In questi casi si può ricorrere a due metodi diversi, assicurandosi tuttavia della presenza di tutti gli altri fattori che favoriscono lo svolgimento della fermentazione lattica. Il primo metodo consiste nell'aggiungere del vino nel quale la fermentazione malolattica sia già attiva - quindi ricco di batteri lattici - mentre il secondo consiste nell'aggiunta diretta di colture di batteri lattici, reperibili nei negozi specializzati in enologia.

 

 Svolgimento della Malolattica

 Prima di eseguire i controlli sullo svolgimento della fermentazione malolattica, è necessario che questa inizi la sua attività. In ogni caso, nei vini che richiedono lo svolgimento della fermentazione malolattica, è opportuno che questo processo sia svolto subito dopo la fermentazione alcolica, senza attendere l'arrivo della primavera, assicurando quindi una migliore stabilità biologica al vino. Al termine della fermentazione alcolica e dopo avere svinato il vino, si cominceranno a predisporre i fattori che favoriscono l'attivazione della fermentazione malolattica, in particolare la temperatura. Dipendentemente dalle condizioni della stagione, la temperatura potrebbe anche essere inferiore ai 18° C, pertanto sarà necessario riscaldare il locale utilizzato per la produzione di vino. Nonostante la produzione casalinga di vino non consenta di eseguire tutti i controlli necessari, sarebbe opportuno assicurarsi anche sulla presenza degli altri fattori favorevoli, come la quantità di anidride solforosa e il pH, quest'ultimo misurabile con uno specifico strumento, pertanto di difficile determinazione nel nostro caso.

Qualora le condizioni per l'attivazione della fermentazione malolattica siano tutte presenti ma il fenomeno stenta il suo avviamento, è molto probabile che nel vino non sia presente una popolazione sufficiente di batteri lattici. Come già detto, in questo caso sarà opportuno aggiungere una parte di vino già in fermentazione malolattica, oppure una coltura di batteri lattici così da favorire l'attivazione del processo. I batteri lattici sono solitamente disponibili in forma liofilizzata presso i negozi specializzati in enologia. Prima di aggiungere i batteri è necessario procedere con la loro riattivazione poiché è indispensabile che questi siano aggiunti al vino quando sono in piena attività. Le modalità di riattivazione variano a seconda del tipo di batteri impiegati, pertanto sarà opportuno fare riferimento alle indicazioni suggerite dal produttore. Quando la fermentazione malolattica avrà iniziato la sua attività, nella superficie del vino si noteranno delle piccolissime bollicine: si tratta dell'anidride carbonica prodotta dalla degradazione di acido malico in acido lattico.

 Ci sono casi nei quali la fermentazione malolattica deve essere evitata, come per esempio nei vini bianchi e rosati nei quali si preferisce mantenere la freschezza degli aromi e una buona acidità. Il metodo più semplice è quello di non favorire le condizioni sopra riportate, tuttavia alcune di queste potrebbero risultare rischiose per la salute del vino dando origini ad alterazioni. Il metodo più pratico e semplice per evitare lo svolgimento della fermentazione malolattica è quello di aggiungere un'opportuna dose di anidride solforosa al vino, così da ostacolare l'attività dei batteri lattici. Un altro metodo consiste nel mantenere il vino a una temperatura inferiore a 18° C, così da impedire l'attività dei batteri lattici. Il metodo migliore consiste comunque nell'utilizzo combinato di entrambi i metodi, provvedendo ad aggiungere anidride solforosa dopo il termine della fermentazione alcolica - in questo specifico caso si consigliano generalmente 8-10 grammi di SO2 per ogni cento litri - provvedendo subito dopo a mantenere il vino a una temperatura inferiore a 18° C, così da evitare, inoltre, lo sviluppo di gusti negativi, come quello di mercaptano o di idrogeno solforato.

 

 

 

martedì 6 marzo 2018

IL SALAME DI VARZI DOP


IL SALAME DI VARZI DOP…un’altra “grande” eccellenza!

 

Il Salame di Varzi è un’eccellenza a marchio D.O.P. e un prodotto tradizionale
della Valle Staffora. La qualità e la genuinità del Salame di Varzi dipendono esclusivamente dal rigoroso rispetto da parte di abili artigiani salumieri dell’antica ricetta unita alle condizioni climatiche del territorio dell’Oltrepò Pavese montano.

 

 


Oggi la produzione del Salame di Varzi segue le stesse ricette e procedimenti di un tempo. Sebbene si sia dato spazio all’utilizzo di attrezzature più moderne, si può affermare con fierezza che la produzione dell’insaccato avvenga ancora secondo tradizione.

A seconda del periodo e del luogo di stagionatura il prodotto presenta profumi speziati più o meno marcati, lievi sentori di muffa e fragranza di crosta di pane, aromi erbacei di legno verde e di mimosa. Il sapore è dolce e delicato, con un aroma fragrante e caratteristico, un retrogusto leggermente amarognolo strettamente condizionato dal periodo di stagionatura.

Il Salame di Varzi è stato iscritto nel “Registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette”, con Reg. CE n° 1107/96 della Commissione del 12/06/96, ai sensi del Reg. CE n° 2081/92. Dal 2005 il Salame di Varzi D.O.P. è garantito dal MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) attraverso i controlli eseguiti da Istituto di certificazione incaricato.

Il Salame di Varzi DOP si presenta al consumo con il sigillo di certificazione che lo ha accompagnato dal laboratorio di produzione sino alla fine della stagionatura.



Le caratteristiche di riferimento in funzione del diametro e del periodo di stagionatura sono:

 

CONSISTENZA: impasto tenero e compatto, morbido al tatto non deve presentare spazi vuoti;

ASPETTO AL TAGLIO: di colore rosso vivo con presenza della parte grassa perfettamente bianca, assenza di parti connettivali, assenza di zone rancide e di corona esterna ingiallita;

PROFUMO: a seconda del periodo di stagionatura il prodotto presenta profumi speziati più o meno marcati, lievi sentori di muffa e fragranza di crosta di pane, alterni aromi erbacei di legno verde e di mimosa. Delicati indizi di riferimento alla cantina di stagionatura. Assoluta assenza di lezzo di suino e di tutte le puzze sgradevoli legate alla cattiva lavorazione, pulizia e negligente conservazione.

SAPORE: dolce e delicato, aroma fragrante e caratteristico, retrogusto leggermente amarognolo strettamente condizionato dal periodo di stagionatura.

Non deve esistere spiccato indizio di aglio.